lunedì 25 ottobre 2021

" Building Mind "

 

C’è un muro intorno a noi. Viviamo entro una barocca roccaforte che non vediamo. Scorrazziamo liberi nei suoi cortili che crediamo il mondo, senza avvederci del limitato spazio che ci è concesso. in questo misero labirinto di ridondanti pensieri e sentimenti urge abbattere muri per costruire una Nuova Mente !


" Building Mind " opera in pietra e materiali compositi di Guido Roggeri .

Segue articolo di Lorenzo Merlo :

IL MURO .

C’è un muro intorno a noi. Viviamo entro una roccaforte che non vediamo. Scorrazziamo liberi nei suoi cortili che crediamo il mondo, senza avvederci del limitato spazio che ci è concesso. Misero vermaio di ridondanti pensieri e sentimenti.

Accade ad alcuni di divenirne consapevoli. Si dà allora la responsabilità della passata costrizione e castrazione a qualcuno o a qualcosa. Sempre però si tratta di capri espiatori che permettono di nascondere a sé stessi la verità ultima alla quale, nuovamente, ad alcuni accade di accedere. E quando ciò succede, ciò che era segreto diviene banalità.

Sotto una permanente spinta biografica, che per ontologia, non contraddice mai se stessa, realizziamo il nostro unico destino disponibile. Sempreché qualcosa in noi non evolva. Sempreché non ci si riconosca architetti e muratori del nostro muro di fondo e di circostanza. Allora, ogni singola pietra, mattone e colpo di cazzuola, serviti per erigere il muro, non sono più opera altrui ma nostra.

Sebbene la cultura – come muro eretto da altri – non la scegliamo, interrompendo l’attribuzione di responsabilità o di realtà oggettiva, possiamo emanciparci da quella in cui capitiamo. Ovvero, possiamo riconoscere le sue ragioni storiche, la sua necessarietà filosofica e anche la sua arbitrarietà e la sua strumentalità. Cioè, la sua effimera natura scambiata per definitivo muro. Il percorso necessario per avvedersi del grande slittamento di piano che tutto muta e travolge, è lavoro che compete all’individuo.

Il muro e le varie coperte di Linus sono geneticamente figli del medesimo genitore: la necessità di sostenere il proprio io. Sono rifugi, habitat, bioregioni in cui possiamo garantire la nostra sopravvivenza. In cui possiamo affermare la nostra forza, la nostra verità, identità e differenza. La dimensione del muro è proporzionale al senso di importanza personale che ne ha diretto l’edificazione. E l’importanza personale è a sua volta in funzione del gradiente di consapevolezza che l’io non è che un muro costruito intorno a noi.

Identificare se stessi con il proprio io è la conditio per determinare la delimitazione del proprio dominioEntro il quale siamo, fuori dal quale non siamo. Entro il quale sappiamo sempre dov’è il nord, fuori da quale siamo spaesati. Entro il quale percorriamo la via del vero, del bello e del giusto. Fuori dal quale le vie sono del falso, del brutto e dello sbagliato.

Chi è dominato dal proprio giudizio ferma la realtà, la definisce e reifica col suo stesso giudizio. Chi non è dominato dal proprio ego osserva il fluire del reale, ne vede le forze, grette e sottili, che su essa agiscono. In ciò che osserva riconosce sempre una verità. Nel primo caso, domina il fermo immagine, in cui si osserva una realtà corrispondente a una fotografia, la cui composizione è determinata dal nostro muro. Ad essa corrisponde sempre un nostro vantaggio. Nell’altra situazione si vede il film del divenire, la parabola della storia e la sua permanente legittimità. Una condizione che permette di sciogliere anche i muri più refrattari.

Autoreferenziati dal nostro muro, procediamo a testa alta come paladini della giusta morale, della giusta politica, del giusto impiego della forza. Il muro, un passo alla volta, ci conduce in luoghi che mai avremmo sospettato, ci produce realtà che mai avremmo voluto. In tutte le circostanze il muro impone sempre la sua legge per la sopravvivenza della nostra metafisica.

Attraverso il grande portale di accesso alla nostra fortezza transitano solo i sodali: solo le idee che non ci turbano e che confortano le nostre posizioni. Oppure, per uscire in proselitica battaglia. Dalle feritoie osserviamo il mondo esterno pronti alla difesa in caso di attacco. Una difesa spesso frutto di reazioni difensivo-emotive, incapaci di riconoscere il senso di quanto ci viene incontro. Messaggi in forma varia raramente vengono considerati, accolti, masticati, digeriti e infine fatti propri.

Per quanto le battaglie tra le idee si svolgano con armi razional-dialettiche – le sole che nel dominio razionalistico della nostra epoca, siano ritenute intelligenti – all’insaputa di tuttii soli proiettili che colpiscono sono quelli emozionali. Il resto sono salve intellettuali che, bene che vada, toccano la pelle e mai raggiungono il cuore.

E sono credute razionali, quindi le più forti e durature, pure le singole pietre che compongono il muro e gli argomenti che portiamo a sostegno della loro messa in opera. Ma è superstizione protoscientista. Di fatto, non lo sono affatto forti e resistenti, semmai ondivaghe e ribaltabili. Infatti, anche quelle pietre, ognuna di quelle è posta da una forza emozionale con ragioni esclusivamente emotive. Tutta la cosiddetta e presunta razionalità ha genitori emozionali.

L’hanno ampiamente raccontato Humberto Maturana e Francisco Varela. Ma, nonostante la loro visione abbia la potenza culturale paragonabile a quella fisica di una fusione nucleare, essa è rimasta circoscritta a tesi di laurea e a quisquiglie accademiche. L’autopoiesi di noi stessi – dicevano i due ricercatori cileni – corrisponde al muro. La cui natura è di essere parzialmente permeabile solo da ciò che è compatibile con quanto crediamo di noi. Accettiamo ciò che è già in noi, che con quello si integra. Non solo. Tale compatibilità è misurata da un regolo di tipo emozionale. Per schematizzare, si può dire che il medesimo argomento può essere accettato/rifiutato se fornitoci in tempo differente. E che, nel medesimo tempo possiamo accettare/rifiutare un identico argomento se fornitoci da fonti differenti. Il primo caso dipende dal variare della nostra intima condizione/convinzione. Il secondo dal giudizio che generiamo – e con cui ci identifichiamo – nei confronti dell’emittente.

La popolare formula apertura mentale, vorrebbe contenere questo oceano e queste profondità, così facilmente, ignoti a noi stessi. L’apertura mentale di una madre nei confronti delle malefatte del figlio tende ad essere massima. Nella circostanza il suo muro è totalmente abbattuto o permeabile. Nessun giudizio tiene a distanza il figlio. Nessuna alterazione si propaga nella madre. Diverso accade con le ideologie conclamate o minimali che siano. Lo scontro tra queste è garantito, così come l’importanza personale dei duellanti.

Con la consapevolezza che l’altro è un universo diverso, che ha quindi ritmi, vibrazioni, rotazioni e quadrature – che sono solo un accenno di un corposo elenco – possiamo rivolgerci al linguaggio, al modo e al tempo per provare ad avvicinare il prossimo, per rischiare di coniugare il nostro pensiero e il nostro spirito con il suo. In una parola, modulare il linguaggio significa ascolto. E questo allude all’assunzione di responsabilità di ciò che accade quando il muro dell’altro si dimostra impermeabile; quando dalla sua feritoia partono dardi infuocati diretti a noi.

Così come la debolezza è direttamente proporzionale alla consistenza del muro, la forza lo è indirettamente. Questa, raggiunge il suo massimo nell’ascolto, dove il muro appare minimo o abbattuto. Nella consapevolezza che l’identità è un’infrastruttura di noi, che essa non corrisponde al nostro sé universale, disponiamo di fermezza e duttilità, depurate dagli inquinamenti tossici dell’importanza personale.

Ricoperti da strati di saperi cognitivi, nei quali abbiamo annegato la vibrissa che siamo, abbiamo dimenticato chi siamo. Abbiamo abdicato l’infinito che è in noi. Un’antenna sottile e sensibile, capace di captare le energie del cosmo e del momento, capace di distinguere, discriminare, scegliere, capace di essere terra e conoscenza, capace di guidarci e fare luce nel labirinto oscuro dei momenti. Capace di informaci che in noi c’è già tutto e che quello che non troviamo, come un rifiuto, lo abbiamo buttato fuori dal muro. Per paura della vita. Per timore di essere ciò che siamo e non solo ciò che crediamo.

E allora, i traumi sono devastazioni del muro, sono sottovalutazioni del nemico. Le terapie sono consapevolezza che siamo noi a costruirlo e che difenderlo a testa bassa ci procurerà altri inconvenienti, tra cui la follia. Uno stato in cui il muro è così stretto intorno a noi da impedire il passaggio perfino alla luce.

La saggezza non sta nel non edificare la barriera ma nel prendere le distanze da esso, nel liberarsi dall’importanza personale, nel riconoscere con compassione i propri e altrui muri. Nel comprendere cosa sia la selettività mascolina e l’accoglienza femminina. Nell’andare oltre le ingenue e arroganti leggi degli uomini e riconoscere quelle imperiture e semplici della natura.

Combattere diventa allora recitare una parte, eventualmente per noi doverosa. Come per il Samurai, per il quale il nemico vinto avrà l’onore delle armi.

Articolo di Lorenzo Merlo

giovedì 15 luglio 2021

"La Mossa del Cavallo"


 Trentasette artisti tra ceramisti, scultori, pittori e artisti del vetro, hanno interpretato il tema del cavallo producendo una sessantina di opere che senz’altro attireranno la vostra attenzione; molte supereranno le vostre aspettative.

Vi aspetto dunque numerosi all’apertura sabato 10

luglio alle ore 16:00 presso la Chiesa di Santa Croce    in  Piazza Conte Rosso nel Centro Storico di Avigliana.

 

Di seguito l’introduzione alla mostra dell’archeologa e storica dell’arte dott.ssa Donatella Avanzo e, a seguire, l’invito con all’interno la presentazione dello scrittore e poeta Carlo Alfonso Maria Burdet.



La mossa del cavallo

 

Nella storia dei popoli quella del cavallo non è una presenza banale, lo sanno bene i due curatori, Luigi Castagna e Giuliana Cusino, che hanno scelto il cavallo come tema di questa notevole mostra che aprirà i battenti nella ex chiesa di Santa Croce situata nella preziosa piazza medievale del Conte Rosso ad Avigliana.
Anche il titolo della mostra riserva a questo nobile animale il ruolo di status symbol che lo rende protagonista tra i pezzi del gioco degli scacchi.


                                  " L'Ippocampo " opera  raku di Guido Roggeri


Ed è proprio dalla scultura del maestro Piero della Betta, posta al centro della mostra, che si dipanano le opere dei numerosi artisti che interpretano il tema, quasi fossero altri pezzi della scacchiera.
Ma il cavallo oltre ad essere uno fra gli animali più amati ed ammirati per la sua bellezza, forza ed eleganza, riveste anche un ruolo fondamentale nella storia umana.
Tutti noi siamo affascinati dalle decorazioni sulle pareti delle caverne o sui ripari sotto roccia che i nostri predecessori dell’Età della Pietra ci hanno lasciato quale eredità culturale. I disegni dai colori vividi e accesi sono per noi delle opere che dimostrano la necessità dell’uomo di immortalare la realtà attraverso l’arte.
Le loro opere dovevano forse avere uno scopo propiziatorio. Tuttavia, un interessante studio su Journal of Archeological Science Report mette in risalto un fatto particolare: i cavalli furono gli animali più rappresentati nell’arte preistorica.
Il fatto ė particolarmente interessante perché il cavallo ė stato addomesticato dall’uomo millenni dopo. Lo studio in questione ha esaminato più di 4700 esempi di arte del paleolitico provenienti da diversi luoghi dell’Europa risalenti ad un arco temporale compreso tra i 12000 e i 30000 anni fa e dimostra come il cavallo sia il più rappresentato, immediatamente seguito dal bisonte. I cavalli venivano rappresentati all’interno delle caverne in posti alti e visibili dove il disegno poteva risaltare rispetto agli altri animali.
Eleganza, fierezza, libertà: quali altri aggettivi possiamo usare per descrivere un cavallo? Grandi autori hanno dedicato versi che descrivono e raccontano questo nobile animale ma forse quello che racchiude il motivo di tanti scritti ė stato quello del grande drammaturgo inglese Benjamin Jonson, nato nel ‘500:
“Chiedimi di mostrarti poesia in movimento, e ti mostrerò un cavallo”.
 
Donatella Avanzo
archeologa e storica dell’arte


Video Promozionale dell' evento :




Arcani " la Giustizia"

 "Arcani "  23 artisti interpretano gli Arcani maggiori dei Tarocchi .

Evento espositivo dal 29 maggio al 27 giugno presso la ex Chiesa di "Santa Croce" Piazza Conte Rosso nel suggestivo  centro storico di Avigliana  .

 

"La Giustizia" dei Tarocchi secondo Alejandro Jodorowsky .


"“ Là dove lo spirito ha le medesime dimensioni della materia, là dove non si sa se la densità sia all'origine dell'etere, là dove l'etere genera la densità, là, in un equilibrio eterno e infinito, ci sono io. La realizzazione dell'universo è la mia giustizia; il fatto che essa dia a ogni galassia, a ogni sole, a ogni pianeta, a ogni atomo il posto che gli spetta. Grazie a me, il cosmo è una danza. Ogni nascita, ogni spirale, ogni stella che si spegne ha il suo posto nell' universo. Faccio sì che ogni essere sia quello che è; ogni granello di polvere, ogni stella cometa, ogni orfano meritano di adempiere la missione che è stata loro affidata dalla legge suprema. Alla minima devianza da tale decreto, pronuncio il castigo supremo: colui che avrà deviato verrà espulso dal presente.


La Giustizia : il cuore più leggero di una piuma
opera di Guido Roggeri

Il bene che fai agli altri sono io a dartelo. Quello che non dai te lo tolgo. Quando distruggi, ti elimino. Non dissolvo soltanto la tua materia, ma cancello anche ogni tua traccia dalla memoria del mondo.
Quando appaio nel corpo di una donna, questa diventa una vera madre. Dare alla luce significa concedere un posto qui e ora alla Coscienza infinita. Io, Madre universale, mi colloco nell'incrocio fulgido e monumentale in cui l'oceano della materia entra in contatto con l'anima impalpabile che si disintegra come una pioggia per fare vivere ogni frammento nella sua densità.
Sono la perfezione che non richiede nessuna aggiunta e non tollera nessuna sottrazione: quanto mi viene dato ce l'avevo già; quanto mi vien tolto non esisteva in me. Ogni istante è giusto, perfetto. Dall'azione elimino ogni intenzione soggettiva. Faccio sì che le cose siano esclusivamente quello che sono. Do a ciascuno ciò che si merita: all' intelletto, il vuoto; al cuore, la pienezza dell'amore; al sesso, il piacere della creazione; al corpo, la prosperità, che non è altro che la salute; alla quintessenza la Coscienza, do il suo centro, che è il Dio interiore.”"

(tratto da "La Via dei Tarocchi" di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa)